mercoledì 28 novembre 2012

Quando Giuni Russo diventa un problema esistenziale


E quindi alla fine mi sono abbonata al teatro. Era giunto il momento di frequentare ambienti raffinati, anziché consegnare definitivamente la responsabilità del mio spessore culturale ai “forse non tutti sanno che” de La Settimana Enigmistica. Mi sono abbonata al teatro e il primo spettacolo che ho visto è stato Antigone. Ho detto bene, cominciamo con le cose cazzute, e quindi ho anche indossato i miei nuovi tronchetti neri tacco 8 grazie ai quali sono arrivata in palchetto con le ulcere ai piedi e le unghie viola. Volevo fare bella figura tra l’intellighenzia napoletana, e l’immolazione palmipede mi è sembrata la via più adeguata. Camminare strisciando i piedi, zoppa come mia nonna, è un modo come un altro per dimostrargli la mia vicinanza. Per i restanti 90 minuti, nel buio del palchetto, sono stata scalza che altrimenti non mi sarei mai potuta concentrare su questa storia tutta euripidea di eutanasia e suicidio. Temi allegri insomma, ma a noi piace la cultura che scava nei tormenti umani, ci ispira soliloqui alla fermata dell’autobus, quelli che diventano arringhe hitleriane nella fila della posta e assoli death metal nel traffico delle 22:30 a Corso Umberto.

Ma io non mi sentivo per niente loquace all’uscita del teatro. La cancrena avanzava dalle mie estremità rattrappite, avevo fame e non volevo tornare a casa trattandosi di sabato sera, ore dieci e quaranta. Quid faciam? Con un lampo di genio la mia amica suggerisce una pizziata. Dopo essere passate a casa a cambiare il tronchetto tacco 8 con uno stivaletto tacco 10 incediamo verso una nota pizzeria del centro di Napoli e lì casca l’asino, che più che asino avrei poi scoperto essere un’idra policefala.
Il soggetto in questione mi era già noto, e non solo per essere membro di una rete di personaggi satanici al cui vertice troviamo Mefistofele in persona, ma anche e soprattutto per essere bello. Bello di una bellezza di uomo maturo e filosofico, motivo per il quale lo ricorderemo con il nome di Platone.  Platone sedeva al tavolo accanto al nostro con suo fratello Plotino, che, come insegna Nicola Abbagnano, non era altro che una mera riproduzione in scala 85 kili/taglia 50 per 1m75cm del Maestro (taglia 50 per 1m e 90cm e 82kg di cristiano, che diolobenedica mille volte). Platone, amico della mia amica, decide di intrattenersi con noi pur avendo terminato la pizza, e decide anche di rendere la mia deglutizione pressoché impossibile, puntandomi gli occhi addosso e non distogliendoli mai più. Mo io non so se è perché fosse già ubriaco, o perché prima ancora che tagliassi la mia marinara mi aveva imposto, nell’ilarità generale, di usare il tovagliolo al collo, facendo miseramente fallire qualsiasi tentativo di esposizione del mio decolleté. Insomma, com’è e come non è, due ore dopo, io, la mia amica, Platone e Plotino sedevamo al tavolino di un bar e io ero già innamorata di Lui e della sua foltissima barba. Peccato che a dedicarmi attenzione fossero Plotino e i suoi innumerevoli tentacoli. ‘Na tristezza. Lui uomo divorziato sotto la cinquantina, con bagaglio di viaggi in solitaria in giro per il globo, io trentenne-tutta-salute, normodotata e soprattutto tettedotata, non facevamo per niente un bell’assortimento. Ma lui, a differenza del fratello, assorto nelle divagazioni idealiste tipiche della sua corrente di pensiero, deve avere rivisto in me qualcuna delle mignotte tailandesi che ha frequentato in uno dei viaggi-in-solitaria nelle ex colonie indocinesi e da lì è stato tutto un tourbillon ormonale. Che è proseguito fino alle ore 3:30 quando, stremata dalle attenzioni dell’uno e dall’indifferenza dell’altro, sono stata ricondotta a casa, ribattezzata “il castello della principessa,” da un alticcio Platone il quale, in un momento di galanteria, mi aveva avvolto nel suo enorme cappotto. Di lì ci siamo detti addio. Platone è tornato alla sua dimora nel nord Italia e Plotino non lo so, starà ancora a Via Marina chiuso nel cofano della Smart di una povera cristiana indocinese. 

Nelle successive 24 h nell’ordine a) ho ricevuto la consulenza gratuita di un amico il quale, presente anch’egli sabato sera, si è detto assolutamente certo che avessi fatto breccia nelle regioni basse del cuore di Platone b) ho ricevuto una richiesta di amicizia su FB da quest’ultimo. Quindi campane, colombe pasquali, bengala, bombe di Maradona ecc. ecc. Fai due più due, la tua amica ti riferisce che lui le ha detto che sei “simpatica,” fai n’attimo mente locale e ti sovvengono ricordi di un paio di occhiate insistenti che vi siete scambiati e del suo commento casuale sul fatto che se mi piacciono i barbuti lui è disposto a sacrificarti e dici “ci sta, impastiamo sta focaccia.”
Insomma, da allora Platone ha abitato insistentemente i miei pensieri, e per un paio di notti anche la chat di Facebook, nonché le sfere celesti alle quali mi sono rivolta, e mi rivolgo tutt’ora, con parole ingiuriose. Soltanto che credo sia affetto da personalità multiple, o che abbia un agente che cura la sua immagine pubblica sui social network. Sicuramente ha un agente che cura la sua immagine pubblica sui social network. Infatti, questo agente deve essere una donna, una donna molto innamorata di lui che non gli permette di usare Facebook a suo piacimento. Non trovo altro modo per spiegare a me stessa e alle mie amiche per quale ragione questa persona, che risponde sempre e comunque allo stesso nome anagrafico, abbia trascorso tre ore martedì notte chiedendomi di rivederci, elencando le mie virtù (credo principalmente quelle del mio posteriore portoricano [modestament’]) e dipingendo se stesso come il satanasso del materasso, per poi confessarmi, 24 h dopo, che a un certo punto nell’arco, credo, degli ultimi dieci anni, è stato a un passo dall’avere una storia con un uomo.

E’ evidente che qui c’è qualcosa che non quadra. E’ lampante che l’Agente si stia prendendo gioco di me. E’ pressoché certo che il vero Platone è quello di martedì sera che mi diceva di vedere “un mare verde e una sfida” nei miei occhi, piuttosto che la criptochecca che, dopo avermi messo al corrente di questo particolare assassino del suo passato, ha poi deciso di incartapecorire definitivamente le mie mutande raccontandomi che il pesto che se lo prepara artigianalmente a casa e che preferisce la crema di nocciola biologica alla Nutella®. Forse avrei dovuto capire tutto quando mi ha parlato della sua passione per “l’amore senza barriere e senza confini,” o quando ha condiviso con me una canzone di Giuni Russo (!), ma come avrei potuto? Quando sono stata adolescente io i maschi erano maschi, le femmine erano femmine, e gli indecisi portavano le tute di felpa senza mutanda e le gonne pantalone a quadretti, autoescludendosi così di buon grado dal gioco delle coppie. E soprattutto, quando ero adolescente io, se una persona ti piaceva le facevi recapitare un foglietto con su scritto “Ti vuoi mettere con me? Si, No” e basta. E se ti piaceva Giuni Russo venivi picchiato nel bagno dai tuoi compagni di classe a cui piacevano i Masters e He-Man. E buono facevano. 

martedì 5 agosto 2008

m'è scappata di mano una recensione (valerio! meglio di così non mi è riuscita)


Supponiamo che un qualche Claudio Cecchetto del cinema vi proponesse di sceneggiare il remake di un film. Uno qualsiasi. Quale scegliereste? Dopo aver ringraziato lo sprovveduto, alla bislacca domanda io personalmente risponderei: BROKEN FLOWERS. Mo non so quante di voi lo abbiano visto, ma Broken Flowers è un film che merita attenzione, e non solo perchè c'è il ghostbuster. Io l'ho visto mesi fa e ancora ci sto pensando. Ossessione compulsiva? E vabè che è una novità?! Si sa che io poi prendo le fisse...
Certo non è una pellicola pluristellata dal Sior Mereghetti, ma ha le sue potenzialità. Broken Flowers è una pellicola versatile che vuole lanciarci un suggerimento. Non ha nessuna pretesa di originalità, men che meno di sperimentazione cinematografica che piace tanto ai pipparoli dei vari DAMS italiani, eppure ha qualcosa da dirti. Alla fine è una storia come un'altra. Ma all'occhio attento quel suggerimento nascosto potrebbe rivelarsi una miniera d'oro. E molto meno dispendiosa di una seduta dallo psichiatra.
La storia si riassume così: un uomo di mezza età viene lasciato dalla sua donna - l'ultima di una serie - dopo aver ricevuto una lettera nella quale gli viene comunicato, molto astutamente, che nonostante le precauzionio anni prima gli è scappato un pupo da una delle sue numerose ed intercambiabili ex. La cosa prima lo lascia indifferente, poi lo incuriosisce, infine solletica i sensi del suo vicino con il vizio di sherlock holmes che convince bill murray a prendersi una pausa da una vita di inedia per reincontrare cinque delle sue vecchie fiamme e così provare a carpire i segreti dei loro molli ventri e raccogliere informazioni sul fantomatico ragazzino. Tipo divinazione, diciamo. Il finale lascia un pò a desiderare; sorvolerei sulla miseria di quest'uomo che gira in macchina gli Stati Uniti guardandosi bene dall'imboccare la route 66 - perchè dopo una vita di eccessi a quanto pare mo ha deciso di fare bella figura col figlio - e li gira per il gusto di soddisfare una mera curiosità, tanto per scoprire se sto ragazzo gli somiglia o no e poi dimenticarsene di nuovo, insomma. Ma il punto non è questo.
Il suggerimento di Broken Flowers al quale ho pensato in questi mesi è: sulla soglia di un passaggio epocale che per è rappresentato da un tre e uno zero che si avvinghiano pericolosamente in un
terrificante abbraccio foriero di chissà quali mali è arrivato pure il momento di tirare un pò le somme. Una somma approssimativa, si capisce, però sì: vediamo in questi ultimi quindici anni a chi mi sono accompagnata, facciamo un pò di calcoli sulla mia passione per l'autolesionismo e cerchiamo di capire mo come sto messa. Se magari sono guarita oppure se, molto più facilmente, non sia peggiorata.
Direi che Broken Flowers presenta una formula esportabile. Chi di noi non ha almeno cinque scheletri nell'armadio? E quanti di questi scheletri sono degli scomodi e curiosi ex ragazzi che la dicono lunga su noi stesse?

Mo la vera sfida consiste nello sceglierne soltanto cinque. Con quali dei tanti avrei potuto, o peggio ancora voluto, fare un figlio?

La lista che ho compilato è un bestiario di tutto rispetto. Ma achtung! achtung! (che non so come si scrive) non è una classifica. L'ordine dei papabili paparini è casuale.


In principio fu Caronte: un personaggio splendido al quale ho dedicato svariati anni della mia adolescenza. Appassionato cultore di droghe leggere e pesanti, Carone mi ha traghettato senza che gli opponessi il minimo sforzo, verso la perdizione, salvo imbarcare sulla sua feluca numerose altre donnine e all'occorrenza i loro animali da compagnia. Così facendo Caronte ha reso la sua agile imbarcazione una versione moderna dell'arca di Noè: un carrozzone altamente variegato che avrebbe fatto impallidire il più recidivo dei mormoni. Ed è così che ho conosciuto il gusto agrodolce della poligamia.

Profondamente vessata dalle plurime avventure e insaziabili affezioni femminee di Caronte, tra le quali annoveriamo ex tossicodipendenti, tragedie familiari e denunce di vario genere - a diciotto annio ho pensato che l'avvento della maggiore età mi imponesse una pausa. E così dopo l'inferno di mezzo alla via, passando per un purgatorio popolato di anime più o meno insignificanti ma comunque di compagnia, è arrivato il paradiso e infatti ho incontrato il Santo. Il Santo mi si è accompagnato per un lungo anno nel quale a onor del vero gli riconosciamo che si è impegnato anima e corpo a riabilitarmi dalla dura esperienza di scugnizza - 'n cap a me - fatta con il precedente fidanzato. Con il Santo ho raggiunto sconosciute vette di purezza spirituale e anche un pò corporale dacchè versavo in un regime di avanzatissimo proibizionismo. Bandite droghe leggere e superalcolici pasteggiavo a coca cola e succhi multivitaminici che, a essere sincera, mi avevano anche aiutato a smaltire occhiaie e pancetta prematura. Ma proprio per questa fastidiosa abitudine di sottrarmi un pò qualsiasi divertimento, che fosse lecito o anche no, l'idillio con il sant'uomo non è poi durato. Parevamo troppo la famiglia cuore, che a diciannove anni non è ancora arrivato il momento.

Ma Caronte restava un incubo, la famiglia del Mulino Bianco invece un sogno mai sopito e allora dopo il santo sono rimasta nei piani alti e ho accolto il Mistico. Un uomo non del tutto votato alla regola benedettina ma comunque molto ben inquadrato nel giro dell'ora et labora. Un personaggio monastico ma come sanno esserlo solo gli abati: socievoli ma anche avvezzi a una certa rigidità di costumi và, mettiamola così. Una volta tornata a concedermi qualche piccolo piacere rimanevo dunque perplessa su questo caratterista da nome della rosa. Il problema del mistico infatti era uno e bello grosso: l'ascetismo si manifestava in camera da letto. Si capisce che in questo modo le mie fantasie materne erano oltremodo sacrificate, e buonanotte alle colazioni tutti insieme a base di saccottini. Talmente sacrificate che anziché condividere il talamo longitudinalmente una volta l'abbiamo condiviso per latitudine e io mi sono trovata a trascorrere una notte sotto il suo materasso in compagnia non già sua ma delle colonie di acari che abitavano la sua moquette. Di fronte a tale assoluto diniego per la mia persona fisica, manifestato anche da quell'arpia di sua madre, e prolungatosi tra le altre cose per parecchi mesi, non ho potuto che abbandonare l'asceta al suo destino di pugnette e rivolgermi, per contrappasso, alle promesse peccaminose del successivo, infernale personaggio.

Preda di un diavolo in corpo mai stato così sfrenato mi sono infatti lanciata tra le braccia del primo satanasso di passaggio che vorrei omaggiare del soprannome di Metallico. Bello e caro eh, più bello che caro in realtà, ma pure un pò stronzo. Uomo d'esperienza, omm e panz e pur 'e sustanz' se vogliamo, temprato a una durissima vita di maccaroni con la salsa, concerti hardcore e femmine tatuate con le decalcomanie delle patatine, il giovine si sentiva assai Hell's Angel. Salvo per l'abbigliamento che all'epoca invece lo collocava più sul piano un pò spurio del new metal/crossover/post punk. Appresso a lui io chiaramente mi ero trasformata in un ibrido mal riuscito di Dita Von Teese e Samantha Fox. Un pò madonna, un pò puttana, un pò la donna indispensabile, un pò l'amante tormentata, un pò la pupa del gangster. Un pò tutto e soprattutto molto idiota. Questo per dire in pratica che assecondavo tutte le fantasie di questo Lemmy Kilmister de noantri. Anni e anni di duri preparativi mi attendevano, per temprarmi alla vita da palco che ci avrebbe senz'altro atteso, però a un certo punto, a furia di aspettare, il metallaro ha cominciato pure ad arrugginirsi e a inquietarmi oltre misura. A sua discolpa aggiungo che non ci poteva fare niente: c'è chi la disegnano con il vestito rosso e le curve al posto giusto e chi nasce con un paio di corna sulla testa piuttosto ingombranti, rendendosi indigesto ai più. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per nasconderle e trasformarsi in un brav'uomo, ma quando sulla strada è comparso Mr. Big niente e nessuno avrebbe potuto frapporsi tra me e il Principe Azzurro.

Amiche voi sapete chi è Mr. Big: Carrie ha saputo realizzarne una radiografia magistrale. Voi conoscete questa icona della virilità perciò non mi dilungherò a lodarne le molte e maschie virtù. Al cospetto di quell'uomo fantastico il satanasso è receduto nel suo abisso di maledizione insieme a tutte le sue concubine pittate e il nostro sogno della famiglia Osburne si è infranto per sempre. E' bastato uno sguardo e nella mia top of the pops non c'era che lui. Mr. Big. Da allora non ha mai più abbandonato la vetta della classifica. O per meglio dure l'ha abbandonata - perchè non dovete mai pensare che io a un certo punto non sia impazzita e non lo abbia lasciato - ma la sua presenza continua ad aleggiare lì sulla vetta, un pò come il fantasma di John Lennon per Paul McCartney, diciamo. Lui ha tracciato un percorso, lui ha cibato le farfalle nel mio stomaco,
lui ha mostrato la luce. Po' l'ha spenta e se n'è andato per sempre, lasciandomi in compagnia di svariati santi da bestemmiare nonchè cazzi amari da masticare.


Ma quella era un'altra vita. Pure Bill Murray alla fine se ne torna a casa a mani vuote. Un pò malinconico ma pure ottimista chè
a quanto pare il tuffo nel passato l'ha riportato in contatto coi suoi chakra.
Adesso io non lo so questi cinque che fine abbiano fatto. Carone sarà annegato in una pozza di ketamina, probabilmente. Il Santo sta per coronare il suo sogno sponsorizzato Buitoni, questo lo so per certo poichè la sua natura divina gli ha concesso di restarmi amico e continuare a volermi bene nonostante sia stato appeso per un eremita dal pisello moscio. Quest'ultimo per quanto ne so potrebbe essersi vaporizzato nell'aria e il mondo non ne sentirebbe molto la mancanza. Metallico avrà finito di fare la muffa e i pappici sopra o sotto a un palco, a meno che non abbia incontrato qualche maniaca della pulizia munita di guanto di vrine e Viakal, ma la vedo difficile perchè lui in realtà amava atteggiarsi a lupo della steppa solitario. E Mr Big? Lasciamolo nel mistero, ma conoscendolo starà rimpinguando gli annali del Beverly Hills 80100 che si consuma per i colli partenopei correndo appresso alle gonne di qualche femmina irresistibile, desiderado ardentemente di sciuparla se non strapparla, ma pensando già alla prossima e poi a quella dopo e a quella dopo ancora. Perchè se si chiama Mr. BIG un motivo ci sarà...

A parte la magra consolazione di essere sopravvissuta a questi ultimi quindici anni che fanno un pò la versione moderna della divina commedia non saprei dire come sto. Ma non credo molto bene perchè la (s)comparsa di questi figuri nella mia grama esistenza continua a non dare risposta ad alcune domande di alto valore strategico cosicché, per quello che ne so, le due metà del cielo continuano a guardarsi malamente in cagnesco. Allora ieri ho deciso di rispondermi da sola come gli autistici e ho cominciato l'impresa esumando la copia scolastica di un libro che inizia così: "[è] verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un buon patrimonio debba sentire il bisogno di prendere moglie". Dopo il primo rigo già mi sono angosciata di nuovo: dalla divina commedia tutto è uscito fuori meno che uomini celibi pieni di soldi.

venerdì 27 giugno 2008

Nonostante Maroni, lo stato assistenziale resiste

Quando mi annoio, il che equivale a dire spesso, finisco sempre su qualche blog. Evito di precisare che la noia, presumibilmente indotta da inattività, non mi impedisce in alcun modo di restare davanti al computer e praticare le nuove forme di otium letterario offerte dalla tecnologia digitale. La lettura dei cazzi altrui. Visito blog per divertirmi, lo faccio in continuazione. Sono arrivata a credere che sia una forma di redistribuzione energetica che mi permette di compensare il lassismo dell'apparato motorio con l'allenamento di quello cognitivo. A differenza dei flaccidissimi glutei, la mia mente é infatti decisamente in forma. Per non parlare delle mie doti critiche. Qualcuno ha sostenuto che la mia passione per i carboidrati derivi proprio da questo. Pare che una prolungata attività mentale provochi un maggiore fabbisogno di zuccheri complessi, o qualcos'altro di simile, praticamente una richiesta insaziabile ma legittima di pasta e affini. Si direbbe insomma che la mia sia una mens schizofrenica in corpo insano e tracagnotto ma internamente iperattivo.

Questa attività di lettrice di blog io la prendo molto sul serio. Ne ho adottati un paio di cui oramai non riesco proprio a fare a meno, mi piace talmente tanto leggerli che mi sono anche creata un manichino mentale dei loro autori. Gli ho dato una voce, un aspetto, dei caratteri peculiari, a una anche dei tic. Ed è di questi tic che oggi vengo a disquisire. Della banalità di questi tic. Di come si ripropongano in continuazione: il tratto distintivo di una certa tipologia di autori di blog. Sì perchè la mia attività non è semplice sciacallaggio bensì investigazione sociale, ricerca, analisi, raccolta dati. La lettrice di blog non si fa semplicemente i fatti degli altri, lei li studia per poi elaborare, dopo lunghe e attente osservazioni, un diagramma di parte ma nondimeno sincero, dello stato attuale delle loro vite. Delle vite dei prossimi trentenni. Insomma delle vite di quelli come me. Forse una sublimazione dei miei complessi di Peter Pan? Sembra follia ma follia non è: nei blog io vedo purtroppo la gente che mi circonda e anche me stessa. E allora tanto vale prenderci sul serio. Soprattutto quando con il termine generico “blog” andiamo a circoscrivere quegli spazi fintamente raccolti nei quali i neo maturati degli anni duemila vanno raccogliendo, per il bene comune, testimonianza delle miserande esistenze.

Anatomia del blog 2.0: offrire un servizio sociale e gratuito mettendo in piazza le proprie storie, al fine di:

a) sfogarsi

b) acquisire un ruolo attivo nella “community” laddove nella vita reale se ne riveste uno passivo

c) fare le posteggie risollevando le proprie sorti attraverso frequentazioni virtuali con parimenti sfigati (al confronto dei quali ci si potrebbe improvvisamente sentire baciati dalla fortuna)

d) ottemperare all'imperativo di condivisione che si profila dietro quel “2.0” mettendo a disposizione dei più la propria esperienza sul campo minato della società italiana

e) in casi poco frequenti darsi delle arie e/o diffondere predicamenti new age per sciogliere i chakra propri e altrui

Potrà sembrare riduttivo ma è così, metti un blog nelle mani di un individuo tra i 25 e i 30 anni e vedi se non finisce per parlare di: infamità del genere umano, morale corrotta, amicizie tradite, lavoro precario, nostalgia per i vecchi amori, insoddisfazione, malesseri, ipocondria, misurazioni genitali (lunghezza e nei casi più arditi larghezza), gomito del tennista, ginocchio della lavandaia e di nuovo sfortuna in amore e pure al gioco. Vedi mai se qualcuno si lamenta del callo dello scrivano come ce l'aveva il povero Garrone. I pazienti ai quali mi sono votata non hanno due lavori come quel povero ragazzino là del libro Cuore, però si sentono tutti inspiegabilmente molto creativi e impazienti di mettersi all'opera. In effetti loro sono pieni di voglia di fare, ma sembra che a parte loro, nessuno se ne accorga. Quindi intanto che aspettano che l'arcangelo Gabriele li assuma in qualche agenzia pubblicitaria assumono droghe, scattano foto, frequentano serate a la page e soprattutto si tirano le tarantelle con qualcuno di cui tempo un mese o un anno si lamentaneranno per la pochezza umana e a volte anche sessuale.

Ed è qua che avrei qualcosa da dire un po' a tutti noi giovani insoddisfatti. E' mai possibile che a trent'anni stiamo ancora a scrivere il diario segreto con la lista dei buoni e dei cattivi? Può mai essere che questo mondo è fatto solo di vigliacchi e di mignotte, talmente pieno di pezzi di merda che per consolarsi bisogna sentirsi sempre immolati a qualche destino crudele? Ma fosse che questi blog a furia di passare per gli occhi e per le mani sempre delle stesse persone diventano una specie di esplosione masturbatoria dei vittimismi dei figli viziati di una qualche mammina casalinga?

In fin dei conti sono un po' annoiata da questi neo-luterani che si sentono sempre più puri e passano le proprie giornate a vergare manifesti sulla natura crudele dell'uomo e su quanto sono nati sfortunati. Ja ma quann maje. Non ci manca niente, azz mia mamma ha invocato la fame in Africa per anni quando doveva buttare il riso e verze nella spazzatura perchè nessuno, nemmeno io, se lo mangiava. Ma se Leopardi per lo meno aveva la scusa dello scartello e della vista da roditore, questi che c'hanno che non va?

Sì sono annoiata è vero, ma alla fine resto fedele a queste vite sempre uguali a se stesse in cui basta avere scritto mezza poesia su qualche sito fatto in casa e stampato due fotografie per il giornale di quartiere per sentirsi dei personaggi unici e degni di nota che non meritano di esistere in un mondo corrotto.

Quello che mi piacerebbe dire a questa schiera di dannunziani è che il mio servizio sociale rimane aperto 24 ore su 24, anche nei giorni feriali e festivi, e che perciò non abbandonassero mai i loro blog che altrimenti non so come ammazzare le ore della canicola estiva.

giovedì 7 febbraio 2008

i am a desperate house-wife(?)

Quest’oggi ho deciso di rendermi utile alla comunità e mettere le mie esperienze e conoscenze a disposizione dei più nella forma di una lezione di economia domestica.

Perché sebbene tutti quanti vorremmo essere ilprincipecercamoglie non è detto che ci possiamo permettere la polacca tre volte alla settimana, ma nemmeno due volte a settimana e neanche una volta al mese. Insomma, non c’è bisogno di guardare Ballarò per sapere che stiamo con le pezze al culo, basta solo fare i coraggiosi e tenere gli occhi aperti quando apriamo il borsellino anzichè guardare in alto e prendersela con gesù.

Quand’ero piccolina passavo un sacco di tempo con mia nonna che si arricreava a raccontarmi di quando andava a scuola e faceva le lezioni di ferro e maglia, quelle di cucina, quelle di asole e bottoni e altre amenità protofasciste dell’epoca. Si sedeva tutta compita e mi insegnava con aria incantata il diritto e il rovescio bestemmiando le ragazze moderne che adesso a scuola imparano solo a dire parolacce e a togliersi i peli dalle gambe. Per questo motivo sono cresciuta dissociata tra una retta educazione mussoliniana e una passione fuorilegge per il silkepil e la cera a freddo che però ho risolto eseguendo riti di purificazione con la regola della maglia riso. E ha funzionato: oggi riesco a guardare in faccia le mie ascelle depilate e a infornare una discreta teglia di pasta alla siciliana evitando di essere colta dal fuoco di sant’antonio.

Ma nonostante questi passi da gigante mi vedo costretta a convocare mia nonna, seppure inferma di mente – povera vecchina – assettarla comoda sul divano e aggiornarla sullo stato degradante e degradato in cui oggi versa l’economia domestica. Purtroppo lei non può rispondermi ma dopo 27 anni volete che non sappia cosa direbbe? Invocherebbe la sua maestra elementare, le compagne di classe, la direttrice, la signora Galiani e forse addirittura la signorina Striani (pace all’anima loro) e mi farebbe una lezione sul buon governo della casa.

Per questo motivo e per il fatto che mi ha tenuto a casa sua per 6 anni e mezzo cucinandomi vermicelli ulive e capperi a ogni ora del giorno e della notte ho pensato di farle un regalo.

Oggi vorrei presentare a tutte voi lettrici il manuale riveduto e corretto delle faccende domestiche.

Cominciamo dal capitolo numero uno intitolato: “Le Disgrazie della Casa”. Sì perché questo volume manca di un’introduzione. Avrei voluto scriverne una e decantare degnamente le gioie dell’alveare domestico, ma mi vedo costretta a contraddirmi poiché – ahinoi – il nostro rifugio di gioie semplici e genuine può in ogni momento tramutarsi in un antro sibillino dall’aspetto spaventoso inducendoci a sfuggirlo e alleviare altrove i nostri affanni.

“Ma com’è possibile?” vi chiedere voi massaie un po’ ingenuotte. Ve lo dico io: la casa ed i suoi inquilini potrebbero ribellarsi e trasformarsi nei vostri peggiori nemici.
E questo fenomeno mutante ha anche un nome: La Sporca Ostinata (LSO da non confondersi con LSD che è la sigla di un allucinogeno dalle controindicazioni più piacevoli e gestibili).

Chi o per meglio dire cosa è La Sporca Ostinata?

La Sporca Ostinata è la ragione del fallimento di molte case farmaceutiche che non si chiamano Bayer e di altrettanti dottori psicologi che invece non rispondono al cognome di Meluzzi. La Sporca Ostinata è l’enigma domestico numero uno; la natura che si rivolta contro se stessa; il terrorismo entropico; la rivincita del calzino marcio e del puparuolo ammazzaruto. In una parola l’anatema della nonnina balilla.
LSO è un personaggio reale che vive a casa mia ma che potrebbe tranquillamente abitare anche a casa vostra perché LSO si manifesta a scoppio ritardato e a volte riesce perfino a passare inosservata. Per qualche tempo, tipo 10 minuti.
LSO si mimetizza facilmente: veste come noi, parla la nostra lingua, a volte condivide perfino i nostri interessi e le nostre amicizie! LSO ha dunque una vita sociale, ma anche un lavoro e spesso addirittura un compagno sul contenuto della cui biancheria intima vi inviterei a interrogarvi... Insomma quell’uomo seduto in pantofole sul divano, lo vedete? Ecco: ANCHE lui potrebbe essere un LSO. E quell’amabile donnina a cui avete lasciato il posto in autobus? Diobono anche lei! Perciò IN CAMPANA: LSO ti guarda!
Ma non è il caso di disperare né chiamare gli acchiappafantasmi perché La Sporca Ostinata è tutt’altro che invisibile e farà presto a rivelarsi per ciò che è, ovvero la nemica della casa e delle nonne.

LSO ha una caratteristica che la distingue dalle altre forme di sudiciume, unto e lerciume di vario genere: lei è tanta ed è ovunque, e come è facile immaginare non ha la minima intenzione di abbandonarci. No, piuttosto sarete voi ad abbandonare lei se non vi armate di una ferrea forza di volontà e di decalitri su decalitri di lisofòrm e shpicéshpàn.

Insomma: s’è fatta na certa e visto che Ambrogio è in cassa integrazione (sempre per quel fatto di Ballarò) ti affacci in cucina per farti passare il languorino. La nonna e l’epatologo non approverebbero ma un panino salame, formaggio e insalata ci sta tutto. Peccato che il frigo puzza di muffa perché il pasticcio di carne, carote e maionese che vive sul secondo scaffale ha fatto lo sviluppo e gli è cresciuta la barba verde. Dici vabè, LSO sarà cattolica: siamo tutte creature di dio e così lo lasci vivere e moltiplicarsi. Però t’è passata la fame. Allora torni nei tuoi appartamenti e riprendi da dove ti eri interrotta. Peccato che per poco non vieni sbalzata dalla sedia e perdi tutte le maglie della sciarpa che ti stai intessendo con tanto amore balilla perché LSO ha deciso di ascoltare la versione metallurgica degli Eiffel 65. E se non è inquinamento la techno a mezzanotte allora mussolini era un anarchico.

Fortuna che LSO arriva all’improvviso e altrettanto improvvisamente va via a lordare abitazioni altrui. Indi riesci a prendere sonno.
Ti svegli il mattino dopo e con gli occhi ancora chiusi ti rechi al gabinetto per farti una doccia. Indovinate?! Il pavimento del bagno è corredato di decorazioni rupestri di colore grigio dalla dimensione variabile e i tuoi calzini hanno le decalcomanie. Nei dintorni della tazza incontri distese lacustri di liquami non ben identificati. Metti mano al mocho bestemmiando san scopino e tutti quelli come lui che hanno negato i lumi alla Sporca Ostinata e pulisci. A questo punto aggiungete una nota agli appunti: usi e abusi della ramazza. La ramazza, volgarmente lo scopettone, può essere variamente impiegato. Consiglierei, in presenza di LSO, uso anale, perianale e laringo-faringeo (nonna scusa: questa si farà pure crescere i peli sulle gambe ma c’ha pure la mucillagine nei capelli!).

Mo dico: io non voglio rovinare la vita a nessuno, e nemmeno augurarmi la dipartita anticipata di altri, ma un ritorno allo stalinismo!? Una ricomparsa del Purgatore coi baffi!? Qui c'è bisogno di una vera disinfestazione ragazze, altro che la vecchina dell'ammoniaca! Questa l'annuncia na puzza che manco il campanello dei monatti...

ma li mortacci sua ...


giovedì 15 novembre 2007

chi semina chupachup raccoglie tempeste. ormonali.

quand’ero piccola – ma solo di altezza, perché di larghezza già mi assestavo sulla piazza doppia, come i letti matrimoniali – scoppiò l’epidemia delle caramelle drogate.

l’epidemia delle caramelle drogate vendute, se possibile, agli angoli delle strade ed espressamente fuori le scuole elementari. non gli asili, né le medie né le superiori ma solo le elementari.
pare che qualcuno avesse stabilito che i tossici avessero assunto il controllo del mercato dei dolciumi allo scopo di investire sull’infanzia e spendere quantitativi inimmaginabili dei propri averi nella fabbricazione di sciusciu azzeccosi imbottiti di sostanze illegali.
d’altronde chi non sapeva fin d’allora che gli eroinomani navigano nell’oro e che quell’accattonare fastidioso che li contraddistingue è in realtà solo una scusa per smaltire lungi dagli occhi vigili dei loro cari.

quand’ero piccola la storia delle caramelle drogate piombò sulla quiete della mia famiglia come le notizie di radiolondra durante la guerra.

non ho mai saputo chi l’abbia messa in giro ma da allora mi ha segnato la vita.

da un giorno all’altro mamma e zia pina istruivano me, le sorelline e i cuginetti a non accettare dolciumi dalle mani degli sconosciuti pena l’avvelenamento da sostanza dopante e ovviamente la morte.
in verità il discorso non era così lineare, c’era un presupposto riguardante il fatto che il mondo non fosse più quello di una volta e che noi fossimo bambini iper viziati perché chi mai, quando loro erano piccole, si sarebbe sognato di mangiare caramelle. loro solo la cotognata, cioè la confettura stagionata di mela.

La. Confettura. Stagionata. Di. Mela.

a noi invece dei lego al fruttosio piacevano le bigbabol, bambinacci viziosi che non eravamo altro, e ce l’eravamo sempre mangiate in santa pace, mia sorella anche più di una insieme conseguendo così il primato di mascella più possente del west nonché un paio di esperienze extra corporee provocate da stati asfittici di varia intensità. questo anche quando non ingoiava la farina insieme alle bigbabol, ma magari del capitolo vorrei-partecipare-all’ultimo-minuto ne parliamo un’altra volta.

ecco: dalla sera alla mattina girava questa voce che in ognuno dei nostri amatissimi panetti rosa potesse esserci la droga, quella medesima droga che ci avrebbe poi condotto alla dipendenza e alla morte nel giro di pochissimo tempo e senza che noi nemmeno sapessimo di essere diventati dei bambini tossici.

anche se in effetti visto che eravamo curiosi qualcosa della droga già la sapevamo, e cioè che se mai avessimo deciso di assumerla ci saremmo immediatamente colorati di viola e tutti per strada ci avrebbero riconosciuto perché nel frattempo che passavamo l’aria avrebbe diffuso la musica angosciante della pubblicità progresso sull’aids. proprio la stessa eh e tutti ci avrebbero additato e si sarebbero scostati mentre camminavamo.

a noi non piaceva quella musica e non piaceva nemmeno pensare che avremmo potuto mutare in personaggi infelici dal colore di un livido.
allora bastava decidere di non drogarsi e tutti avrebbero vissuto felici e contenti pensavamo noi, elaborando furbi e anche un po’ sollevati sulla didattica della pubblicità progresso.

ma quando tua mamma che non si è mai fatta uno spinello nella sua vita nonostante sia cresciuta negli anni settanta ti viene a dire che ti farciscono gli sciusciu con la droga senza nemmeno avvertirti allora cambia tutto perché tu non puoi farci più niente.

la paura cambia.
il terrore si trasforma nella faccia amica del tabaccaio o del fratello maggiore di qualche compagno di merenda e tu non sai più di chi fidarti e non è che smetti di comprarti le cocacoline gommose o le elah alla liquirizia o le galatine al cioccolato, solo che devi farlo di nascosto e guardarle molto bene prima di metterle in bocca; chiaro che la droga ha un altro colore.

questa storia delle caramelle drogate è una storia di diffidenza, ecco che cos’è.

negli anni ottanta tra una cosa e un’altra oltre a perdere il senso dell’eleganza e della discrezione abbiamo anche un po’ tutti perso l’innocenza.
la filantropia degli spacciatori. chi si sarebbe mai aspettato che avessero tutta questa voglia di dilapidare i propri averi con noi ragazzini, eppure a quanto pare lo facevano ed era bene che ci guardassimo le spalle.

non me lo sono mai più dimenticato questo fatto che dietro ogni sciusciu a mou può nascondersi un mascalzone.

passavo davanti al tabaccaio con la bava alla bocca bramante dolciumi e tutto quello che ottenevo era la somministrazione di un proverbio: “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”. vallo a capire se il vecchio rincoglionito dietro al bancone non fosse poi davvero un corriere del cartello di medellin.

non che queste esperienze abbiano minimamente intaccato la mia golosità che negli ultimi tempi è del tutto fuori controllo, tuttavia non mi hanno lasciato indifferente.

in effetti ho anche provato a rimuoverle – insieme alla permanente improbabile e alle spalline imbottite di mia mamma – ma quando l’ho fatto mi sono cacciata nei guai.

per ribattere al proverbio genitoriale con un altro modo di dire poco aduso tra noi giovani direi infatti che ho imparato che “quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima” e che la seduzione delle memelle è davvero molto pericolosa, anche quando non contempla la morte per overdose.

in effetti sbattimi un pacco di caramelline sotto al naso e sarò tua per sempre soprattutto se oltre a spacciare schifezze sottobanco ti procuri libri sulle formiche e dvd di fantascienza.

infatti se tu, uomo reo di avermi fatto passare due giorni tristissimi e ansiosissimi, mi ti presenti brandendo una sacca di invitantissimi sciusciu al sapore di E111 o E113, una megatreccia non imbottita di haribo o un secchio di haagen dazs che trasuda caramelandnuts da quel cartone molle e burroso – sì anche il cartone è burroso – che lo avvolge tornotorno come vuoi che io non cada rapita ai tuoi piedi?

tu, uomo che io ho detestato fino a due minuti prima che il saccarosio e il conservante ti si manifestassero tra le mani, sappi che tu non sei meno eversore dello spacciatore pedofilo che popolava gli incubi di mia madre.

anche perché, diciamocelo, come si resiste a uno spacciatore di caramelle con un’eccellente padronanza dell’italiano?

anche quello è pericoloso oltre al danno ipoglicemico.

altro che diabete, qua si corrono altri rischi.

qua si corre il rischio di diventare dipendenti e anche riconoscenti.

dipendenti dalle dolcezze.

altro che naso di legno cuore di stagno. altro che paese dei ciuchini. qua lucignolo ci butta a mare con tutti i panni per colpa di un pacco di caramelline gommose alla cocacola e se qualche parente si azzarda un’altra volta e cacciare panciotto e pantaloni con le ghette e fare il grilloparlante di questo cavolo glielo faccio vedere io il ventre della balena.

lo dicevano di girare la faccia agli sconosciuti che chi diffida paga e le memelle sono le sue: una caramella tira l’altra e sei nel vortice della rota e delle cioccolate calde e dei viaggi e delle case con i giardini.

e tutto perché io adoro parlare agli sconosciuti.

lunedì 15 ottobre 2007

natale con i tuoi rastiki quando vuoi


rastiki è un genio.
ci pensavo giusto stanotte intorno alle cinque durante una di quelle maratone in cui mi impegno insensatamente a combattere i bisogni fisiologici e le esigenze dello spirito provocandomi esperienze di insonnia al limite della sopportazione.
rastiki è un genio, ripeto.
lei è una personcina dedita all'altrui benestare più di mariagoretti, più di tutte le suore e crocerossine dei film di guerra, più delle varie mamy dei romanzi, più di una qualsivoglia dama di carità e delle madri teresa di calcutta; batte anche patchadams. veramente.
questo perchè non solo rastiki è del segno della bilancia che già di suo implora a gran voce equilibrio e armonia cosmica ma anche perchè è indiana il che aggiunge quel tocco di indispensabile zelo e abnegazione che rende la sua crociata per il bene del prossimo pari a una specie di schiavismo autoinflitto. nel senso che poi lei si fustigherebbe ove mai non riuscisse nel compito di portare la felicità nelle case che la ospitano.
non è che lei si leverebbe il pane di bocca per te: lei sfiderebbe direttamente plotoni di creature fognarie per sottrargli il cibo e consegnartelo previa derattizzazione in un cesto di vimini da lei accuratamente intrecciato mentre la sua famiglia patisce la più severa delle carestie e lei stessa è sull'orlo di una morte per denutrizione.
insomma rastiki è così: pensiero e azione tutti per te, sempre e comunque.

ma questa cosa io l'ho sempre saputa. quello che invece mi è sovvenuto stanotte mentre scandagliavo con occhi spiritati gli angoli più oscuri della mia stanza sperando così di tramortirmi dalla noia, è che la peculiarità di rastiki risiede nel suo offrire un sostegno morale fatto di trovate geniali.
c'è gente che ti compatisce e basta no?, eh, lei invece interagisce esibendo una prontezza di spirito e uno sguardo d'insieme per i quali marzullo e lucarelli si amputerebbero un arto seduta stante ve lo dico io.
infatti dopo essersi sottoposta mansuetamente alle interminabili ore di soliloquio che tu giornalmente le consegni attraverso tutti i mezzi di comunicazione di cui disponi (tranne il fax che per il momento è rotto) lei è in grado di riprendersi dal torpore che le hai procurato in meno di tre secondi e offrirti impagabili spunti di riflessione sui tuoi tormenti nella forma di riferimenti cinematografici, folkloristici, fumettistici e letterari capaci di strapparti ai deliri egomaniacali nei quali puntualmente ripiombi ricordandoti che, insomma, non è che i cazzi che ti ballano per la cervella ce li hai proprio solo tu. cioè versiamo tutti nelle stesse pietose condizioni e c'è qualcuno che ha anche fatto i soldi grazie a questa cosa.
tu impieghi un decimo della tua giornata a trovare le parole solo per spiegarti e rastiki ti condensa tutto non in una parabola, non in una barzelletta ma in una singola immagine e condivisa dai più perchè appartenente all'immaginario collettivo, in grado di offrire una chiave di lettura alternativa e anche una soluzione papabile al tuo problema da adolescente proto bulimica.
lei ha il dono della sintesi e quello indispensabile della lucidità e questa cosa la rende la donna fantastica che infatti è.
fossi un pò meno blasfema accenderei un paio di ceri alla vergine per averla posta sul mio cammino disastrato perchè senza il suo senso dell'umorismo e questa dote eccezionale del riferimento metatestuale io sarei una persona del tutto alienata.

ma qual è l'ultima trovata geniale di rastiki? premesso che ne sforna almeno una al giorno come i pani di rescigno, quella che mi ha fatto compagnia stanotte nel corso della maratona di cui sopra riguarda il calendario dell'avvento.

dibattendo sull'annosa questione della volontà di potenza dei capitoni di cui mi sono premurata di riportare una piccola parte nel post precedente, rastiki mi faceva notare che in clima natalizio anche il calendario dell'avvento vuole la sua parte.

per quella storia che abbiamo fatto le elementari dalle suore, laddove però le sue erano esempi di virtù e le mie di spietata malvagità nonchè di comportamenti manifestamente peccaminosi, noi abbiamo un rapporto molto intenso con le feste comandate. io per esempio vorrei che natale fosse già domani, cioè che proprio non vedo l'ora.
ecco e infatti sì, cioè in realtà anche no nel senso che del natale la cosa più bella è l'attesa. tutto quel contare i giorni che rimangono prima di tuffarsi nella zuppa di cozze e fagioli per esempio è una cosa troppo bella; quella sensazione che ti travolge a partire da giorno di sangennaro per cui da quel momento in poi ogni legume che ingurgiterai saprà progressivamente anche di mitile e crostino bruscato.
eh. allora per facilitare l'attesa qualcuno ha inventato questo calendario dell'avvento che io ho sempre pensato fosse come una cosa solo italiana fino a quando non me n'è arrivato uno ripieno di mille bontà direttamente dalla danimarca, alchè mi sono detta ma guarda tu la globalizzazione e poi mi è sovvenuto che il paganesimo scandinavo è stato debellato novecento anni fa e che loro non sono meno cristiani di noi anche se sfido qualsiasi matrona teutonica a nascondersi relique benedette nel reggiseno come fa mia nonna. ma vabè: paese che vai ...

il calendario dell'avvento per gli sprovveduti che ancora non lo conoscessero è questo rettangolo di cartone piuttosto doppio suddiviso in un pò di caselle numerate a cui corrispondono un tot di giorni di cui l'ultimo è il venticinque dicembre. ogni giorno per un mese si apre una finestra e nella finestra c'è un regalo: leccornie o giochini, è irrilevante.
il mio calendario dell'avvento danese traboccava cioccolata in modo direttamente proporzionale al quantitativo di bava prodotto dal mio apparato salivare appena ho spalancato la prima casella.
capirete la gioia.
per giunta era anche molto carino da vedere perchè invece di avere i soliti tristissimi bue e asinello disegnati sopra aveva invece una famigliacuore danese di bambini e adulti biondissimi, bellissimi e sorridentissimi che mi ha fatto dubitare ancora di più del fatto che noi e loro possiamo condividere qualcosa oltre alla stessa collocazione rispetto al meridiano di greenwich.

da quando rastiki me ne ha parlato mi sono convinta che il calendario dell'avvento sia una delle trovate più azzeccate del mondo e questo perchè? perchè gioca sull'attesa.
in effetti si tratta di un altro caso di posponimento del piacere che è lo stesso meccanismo dei preliminari o dei trailer cinematografici: ti prepara al sommo momento offrendoti una serie di divertenti anteprime che ti incuriosiscono e aumentano il desiderio fino a quando poi sei costretto a prendere in mano la situazione - diciamo così - a comprarti il biglietto e a metterti in fila con i fan numero uno fuori il cinema il giorno della premiere. a meno che tu non decida che sia meglio morire di voglia. tipo il protagonista cadaverico del gioco di gerald per esempio.

come al solito è una questione di tempi perchè a saper dare un ritmo alle cose o a rispettare i ritmi dell'avvento uno ha il mondo ai suoi piedi, in questo caso il signore che fabbrica i calendari e che sa tu l'anno prossimo tornerai da lui, e tutti a aspettare la sorpresa nascosta dietro la finestra di domani.

si sa: le sorprese portano dipendenza come il cioccolato danese, d'altronde.
fai che malauguratamente il tuo uomo si sia ricordato che oggi festeggiate un qualche mesiversario e ti si presenti a cena con un completino sciccosissimo di yamamay: come fai a resistere all'impulso di serializzare l'evento e aspettarti biancheria intima ogni mese in questa giornata?
una ci si abitua malamente alle sorprese per cui anche quando nella finestra del calendario avventizio anziché i confetti bigusto trovi un portachiavi ottonato a forma di coniglio tu tolleri di buon grado perchè sai che tra meno di un mese arriva natale e ci darai giù di regali migliori.

il fatto che a natale stai sempre calzato è infatti uno statuto inconfutabile perchè poggia su un criterio matematico cioè sulla legge dei grandi numeri: i regali sono talmente tanti che almeno un paio si salveranno piacendoti da morire. e perciò a natale siamo tutti contenti: l'attesa ha valso bene una messa e il mercato dei calendari è più nutrito che mai.

ci tengo a sottolineare che io credo fermamente nella politica avventizia e che poche cose sono accattivanti quanto i calendari natalizi, i preliminari, i trailer cinematografici e le quarte di copertina con tutto quello schiudersi di mondi ignoti che si portano appresso ma devo anche allertare il pubblico sul fatto che - ahinoi - esiste timburton. e timburton ha partorito nightmare before christmas. e nightmare before christmas è, per volontà della produzione, un incubo sul natale.
non esprimerò giudizi in merito anche perchè l'ho visto troppi anni fa per ricordare niente che vada oltre il fatto che il protagonista è già morto, ma devo obbligatoriamente servirmene per ricordare a grandi e piccini che a volte le nostre speranze possono essere molto ma molto mal riposte.
non sia mai iddio i miei cuginetti non trovassero niente di bello dietro la casella del venticinque dicembre: mi piangerebbe il cuore come poche volte nella mia vita - a parte quando leggevo marion zymmer bradley. ma tali funesti accadimenti sono all'ordine del giorno e noi non possiamo ignorarli nascosti sotto etti ed etti di leccornie transalpine.
chi ci dice che quell'appetitoso dolciume danese che abbiamo scartato avidamente di diciannove dicembre non sia poi avariato o che quell'uomo fantastico da cui attendiamo da giorni una risposta sia nel pieno di tutte le sue facoltà mentali?
è la jattura dell'attesa che alla fine possa rivelarsi una delusione o peggio ancora uno scheletro: residuato bellico di un qualcosa che è stato e non è più.
quello perciò timburton mi sta sui coglioni mica per altro.

vabè, intanto io il calendario me lo sono procurato tre mesi fa. ho pensato che con la crescita del pil e quel fatto del paniere istat e dei beni di largo consumo le scorte potessero esaurirsi anzitempo. meglio essere previdenti, mi sono detta all'epoca delle feste sulla spiaggia.
così è già un bel pò che spalanco caselle e finestrelle ne ricevo di soprese, magne sorprese!, ma dopo novanta giorni ho quasi desistito a stringergli la mano a questo babbonatale mentre nel frattempo le mie maniglie dell'amore si sono fatte sempre più accoglienti per qualsivoglia aiutante dell'appena nominato illustre beniere natalizio voglia farsi avanti.

martedì 25 settembre 2007

requiem anticipato per i capitoni

oggi piove e la mestizia è con me.


sembra proprio che la stagione sia finita e pure il tempo delle mele.

da me abbiamo inaugurato l’autunno con il solito allagamento del terrazzo che presto rovinerà in testa ai garagisti che abitano negli anfratti del palazzo come i topolini di cenerentola, ma molto meno laboriosi chè comunque stiamo a napoli, e casa mia è tornata ad assomigliare al cimitero delle fontanelle.

quindi tutto regolare: l’autunno ci fa sempre questo effetto di catastrofi irreparabili e letargo anticipato a noi famiglia p. che al primo piano versiamo nel buio di betlemme e siamo molto orsi, ma senza pelliccia per quel fatto dell’ ambientalismo anni ottanta.


orbene visto che ci avviamo verso l’inverno e io sono una persona previdente stamattina mi sono svegliata con un solo pensiero in testa: il capitone.


certo mancano ancora tre mesi a natale ma se mi fate il piacere di tralasciare allusioni goliardiche e battutoni da osteria, vorrei sviscerare questo argomento che ha il suo perché, triviale e non.


il capitone è un personaggio strano e secondo me pure un poco complessato.

il capitone[*] campa un anno sano in grazia di dio immerso nelle acque dolci che più gli aggradano, scorrazzando tra chili e chili di munnezza come meglio crede fino a quando non arriva natale e la sua vita cambia da così a così, come hurley dopo la vincita alla lotteria. cioè cambia in peggio. chi segue lost sa!

sopraggiunto infatti il mese di dicembre tutti quanti decidono di farsi amico il capitone perché il capitone è la star delle feste comandate. levateci tutto, più o meno, tranne playstation, struffoli e capitone.

il 24 dicembre per il capitone è proprio una iattura dal momento che finirà immancabilmente in pentola, cucinato e fagocitato. il suo destino è segnato come quello del povero mr. jingle del miglio verde: topolino innocente che pure fa una brutta fine appresso al suo padrone umano fulminato sulla sedia elettrica.


quindi il capitone ha un’aspettativa di vita piuttosto bassa e questa cosa dovrebbe in qualche modo impietosirci. e sicuramente lo farà: sono certa che decine di vegani si sono già incatenati ai banchi dei pescivendoli brandendo minacciosi fasci di carciofi – quelli sono appuntiti: fanno male - ignari del fatto che i pescaioli napoletani non guardano in faccia nemmeno allo squalo bianco e alla finanza figuriamoci alle claque anoressiche di questi crocerossini della domenica. lascerò a loro il premio bontà2007 perché tanto questi capitoni a me pena non fanno.

io dei capitoni non penso poi così bene. e questo perché sono esseri tendenzialmente viscidi e furbi nonché poco gradevoli alla vista. in realtà non capisco nemmeno come possano piacere. infatti io non ne ho mai mangiato uno.

è come la storia delle escargot in pretty woman: perché complicarsi la vita interagendo con delle creature così poco socievoli quando esistono le pizze a libretto?! sarà pure tradizione, oppure la prospettiva di abbuscarsi una bella cosa di soldi facendo praticamente niente, come vivian nel film, ma io penso che il capitone sia un’arma a doppio taglio. anzi un’arma bianca.

perché è vero che l’uomo si distingue dall’animale per l’intelligenza, ma è pure vero che l’animale tiene una cazzimma** non indifferente e prima di lasciarsi mangiare ti fa passare i peggiori guai. e il capitone con quella sua costituzione atletica e sdrucciolevole è oggettivamente un guaio.

il capitone è una calamità domestica e eduardo de filippo nella sua infinita saggezza lo sapeva tant’è vero che pupella allora esce dalla cucina con le pezze in fronte quando sbatte la testa contro la scansia tentando di recuperare un capitone che era evaso dalla pentola.

in sostanza il problema di questi pescetti è la troppa intraprendenza e il fastidioso attaccamento che dimostrano alla vita. tutto questo voler andare contro il destino mal si confà alla mia vena new age. loro vogliono sottrarsi alla catena alimentare e questo non va bene.

nell’universo c’è un posto per tutti, e il loro è sul fondo di una pentola piena d’acqua bollente prima e nella panza capiente di un napoletano affamato poi. c'è chi diventa miss italia, chi fa le rapine, chi finisce in manicomio e chi è destinato ad essere annientato dalle fauci impietose di un napoletano vorace.

perchè cercare una via d’uscita che non c’è?


capitoni di tutto il mondo ripetete insieme a me: QUANDO MI TOCCA MI TOCCA.



[*] L'anguilla europea (Anguilla anguilla, Linnaeus 1758) è un pesce teleosteo della famiglia Anguillidae. Presenta un corpo allungato, subcilindrico, serpentiforme; la pinna dorsale, di modesta altezza, è allungata fino a unirsi alle pinne caudale ed anale.

Descrizione: Ha una pelle molto spessa, di colore verde scuro sul dorso, più chiara sul petto, può raggiungere i 3 Kg di peso.

**La cazzimma e' il cercare di prevalicare a tutti i costi sugli altri anche danneggiandoli. Quindi "tene 'a cazzimma" quella persona che alla malignita' aggiunge la cattiveria ed il gusto di farla.” - http://www.napoletanita.it/mal1.htm